Luigi Pirandello

Di |15 Marzo, 2019|

Luigi Pirandello

I primi anni

Luigi Pirandello (Girgenti, 28 giugno 1867 – Roma, 10 dicembre 1936) è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l’innovazione del racconto teatrale è considerato tra i maggiori drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua italiana e siciliana) e circa quaranta drammi, l’ultimo dei quali incompleto.L’infanzia di Pirandello fu serena ma, come lui stesso avrebbe raccontato nel 1935, fu caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre. Questo lo stimolò ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio.

Fin da ragazzo soffriva d’insonnia e dormiva abitualmente solo tre ore per notte.
Il giovane Luigi era molto devoto alla Chiesa cattolica grazie all’influenza che ebbe su lui una domestica di famiglia, che lo avvicinò alle pratiche religiose, ma inculcandogli anche credenze superstiziose fino a convincerlo della paurosa presenza degli spiriti. La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano di accostarsi ad un’esperienza di misticismo, che cercherà di raggiungere in tutta la sua esistenza.

Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento apparentemente di poco conto: un prete aveva truccato un’estrazione a sorte per far vincere un’immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal comportamento inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere a che fare con la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da quella ortodossa.

Dopo l’istruzione elementare impartitagli da maestri privati, andò a studiare in un istituto tecnico e poi al ginnasio. Qui si appassionò subito alla letteratura. A soli undici anni scrisse la sua prima opera, “Barbaro”, andata perduta. Per un breve periodo, nel 1886, aiutò il padre nel commercio dello zolfo, e poté conoscere direttamente il mondo degli operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.

Iniziò i suoi studi universitari a Palermo nel 1886, per recarsi in seguito a Roma, dove continuò i suoi studi di filologia romanza che poi, anche a causa di un insanabile conflitto con il rettore dell’ateneo capitolino[7], dovette completare su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci, a Bonn (1889).

A Bonn, importante centro culturale di quei tempi, Pirandello seguì i corsi di filologia romanza ed ebbe l’opportunità di conoscere grandi maestri come Franz Bücheler, Hermann Usener e Richard Förster. Si laureò nel 1891 con una tesi sulla parlata agrigentina “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto di Girgenti” (Laute und Lautentwicklung der Mundart von Girgenti), in cui descrisse il dialetto della sua città e quelli dell’intera provincia, che suddivise in diverse aree linguistiche. Il tipo di studi gli fu probabilmente di fondamentale aiuto nella stesura delle sue opere, dato il raro grado di purezza della lingua italiana utilizzata.

Il matrimonio

Nel 1892 Pirandello si trasferì a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe Luigi Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici.

Nel 1894, a Girgenti, Pirandello sposò Maria Antonietta Portulano (1871 – 1959), figlia di un ricco socio del padre. Questo matrimonio concordato soddisfaceva anche gli interessi economici della famiglia di Pirandello.[12] Nonostante ciò tra i due coniugi nacque veramente l’amore e la passione. Grazie alla dote della moglie, la coppia godeva di una situazione molto agiata, che permise ai due di trasferirsi a Roma.

Nel 1895, a completare l’amore tra gli sposi, nacque il primo figlio: Stefano (1895–1972), a cui seguirono due anni dopo, Rosalia (Lietta) (1897-1971) e nel 1899 Fausto (1899–1975).

Ritorna all’indice

Il crollo finanziario e la malattia della moglie

Nel 1903, un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole sostentamento, li ridusse sul lastrico.

Questo avvenimento accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta. Ella era sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia, a causa delle quali o lei rientrava dai genitori in Sicilia, o Pirandello era costretto a lasciare la casa. La malattia prese la forma di una gelosia delirante e paranoica, che la portava a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero col marito, o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con lui; perfino la figlia Lietta susciterà la sua gelosia, e a causa del comportamento della madre tenterà il suicidio e poi se ne andrà di casa. La chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua situazione mentale.

Solo diversi anni dopo, nel 1919, egli, ormai disperato, acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico. Antonietta Portulano morirà in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana, nel 1959 a 88 anni di età. La malattia della moglie portò lo scrittore ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Sigmund Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei confronti della malattia mentale.

Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo come unico impiego fisso la cattedra di stilistica all’Istituto superiore di magistero femminile (che tenne dal 1897 al 1922), lo scrittore dovette impartire lezioni private di italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario. Dal 1909 iniziò anche una collaborazione con il Corriere della Sera.

Ritorna all’indice

Il primo grande successo

Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, scritto nelle notti di veglia alla moglie paralizzata nelle gambe. Il libro fu pubblicato nel 1904 e subito tradotto in diverse lingue. La critica non dette subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d’altronde di altre opere di Pirandello.

Perché Pirandello arrivasse al successo si dovette aspettare il 1922, quando si dedicò totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva rinunciato a scrivere opere teatrali, quando l’amico Nino Martoglio gli chiese di mandare in scena nel suo Teatro Minimo presso il Teatro Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l’Epilogo, un atto unico scritto nel 1892. Pirandello acconsentì e la rappresentazione il 9 dicembre del 1910 dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i buoni uffici del suo amico Martoglio anche Angelo Musco volle cimentarsi con il teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di Sicilia, rappresentato con grande successo al Teatro Pacini di Catania il 1º luglio 1915.

Cominciò da questa data la collaborazione con Musco che incominciò a guastarsi dopo qualche tempo per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della commedia Liolà nel novembre del 1916 al teatro Argentina di Roma: «Gravi dissensi» di cui Pirandello scriveva nel 1917 al figlio Stefano.

Ritorna all’indice

Dalla Grande Guerra al Nobel: il successo internazionale

La guerra fu un’esperienza dura per Pirandello; il figlio Stefano venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato, ritornò in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio (1919) dove rimase, come detto, fino alla morte.[16] Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Nel 1925 fondò la Compagnia del Teatro d’Arte di Roma con due grandissimi interpreti dell’arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero rappresentate anche nei teatri di Broadway.

Nel giro di un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto nel 1934, “per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell’arte drammatica e teatrale”. Degno di nota fu lo stretto rapporto con la giovane Abba, sua musa ispiratrice, della quale Pirandello, secondo molti biografi e conoscenti, era innamorato forse solamente in maniera platonica.

Molte delle opere pirandelliane cominciavano intanto ad essere trasposte al cinema: Pirandello andava spesso ad assistere alla lavorazione dei film; andò anche negli Stati Uniti d’America, dove famosi attori e attrici di Hollywood, come Greta Garbo, interpretavano i suoi soggetti. Nell’ultimo di questi viaggi (1935) andò a trovare, su invito, Albert Einstein a Princeton. In una conferenza stampa Pirandello difese con veemenza la politica estera del fascismo, con la guerra d’Etiopia, accusando i giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il colonialismo contro i nativi americani.

Ritorna all’indice

Pirandello e la politica: l’adesione al fascismo

Pirandello non aveva mai preso specifiche posizioni politiche, tranne l’ammirazione per il patriottismo garibaldino di famiglia, unica certezza in un’epoca di crisi. L’idea politica di fondo di Pirandello era legata principalmente a questo patriottismo risorgimentale. Una sua lettera apparsa nel 1915 sul Giornale di Sicilia testimonia gli ideali patriottici della famiglia, proprio nei primi mesi dallo scoppio della Grande Guerra durante la quale il figlio Stefano fu fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso, per la maggior parte della prigionia, nel campo di concentramento di Pian di Boemia, presso Mauthausen. Pirandello non riuscì a far liberare il figlio malato neppure con l’intervento del papa Benedetto XV.

Nella sua vita condivise alcune delle idee dei giovani Fasci siciliani e del socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota come l’idea politica di Pirandello era stata oscurata dalla riflessione “umoristica”. Per Pirandello, i siciliani avevano subìto le peggiori ingiustizie dai vari governi italiani: è questa l’unica idea forte che ci presenta.

Nella prima guerra mondiale, come detto, fu un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece Stefano farà, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che sarà estremamente angosciosa per lo scrittore.[26] Nel primo dopoguerra non aderì subito ai Fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo espliciterà l’adesione al fascismo, ormai istituzionalizzato. Il 28 ottobre 1923 fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi. Il 17 settembre 1924 Pirandello chiese l’iscrizione al PNF inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato subito dall’agenzia Stefani:

«Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l’E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera.»

Il telegramma arrivava in un momento di grande difficoltà per il presidente del Consiglio dopo il ritrovamento il 16 agosto del corpo dell’on. Giacomo Matteotti.

Per la sua adesione al fascismo, Pirandello fu pubblicamente duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici italiani fra cui il deputato liberale Giovanni Amendola che in un articolo arrivò a dargli dell'”accattone” che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno. Pirandello, pur non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, che riteneva persone troppo rozze e volgari, oltre che poco interessati alla vera arte, non rinnegò mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una profonda sfiducia nei regimi socialdemocratici (così come non si interessò mai del marxismo, solo ne I vecchi e i giovani mostra un leggero interesse per il socialismo), regimi nei quali sin da inizio Novecento si andavano trasformando le democrazie liberali, che riteneva a loro volta corrotte, portando ad esempio gli scandali dell’età giolittiana e il trasformismo; provava inoltre un deciso disprezzo per la classe politica del tempo, che avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita del Paese, e una forte sfiducia verso la «massa» caotica del popolo, che andava, secondo lui, istruita e guidata da una sorta di “monarca illuminato”.

Nel 1925 Pirandello fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile. L’adesione di Pirandello al Fascismo fu per molti imprevista e sorprese anche i suoi più stretti amici; sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo che comunque aveva, guardava al Duce come riorganizzatore di una società in disfacimento e ormai completamente disordinata.

Un’altra motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo riconduceva a quegli ideali patriottici e risorgimentali di cui Pirandello era convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine del padre. Pirandello vedeva, secondo questa tesi, nel Fascismo la prima idea originale post-risorgimentale, che doveva rappresentare la “forma” nuova dell’Italia destinata a divenire modello per l’Europa.

Potrebbe apparire un punto di contatto tra Pirandello e il fascismo il sostenuto relativismo filosofico di entrambi. In realtà ben diverso è il relativismo morale fascista fondato sull’attivismo soreliano e il relativismo esistenziale pirandelliano che si richiama all’originario movimento scettico-razionale europeo della fine del XIX secolo e l’inizio del XX.

«Pirandello si fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni certezza, del tutto incompatibile con l’ansia attivistica o relativistica – positiva – del nostro tempo»

Sempre nel solco di Amendola e dei critici antifascisti vi è anche un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della sua nuova compagnia teatrale, che avrebbe così avuto il sostegno del regime e le relative sovvenzioni, anche se il governo, perfino dopo il Nobel, gli preferì sempre Gabriele D’Annunzio e Grazia Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati ideali del regime, mentre Pirandello ebbe molta difficoltà a reperire i fondi statali, che Mussolini spesso non voleva concedergli.

In ogni caso, come detto, non furono infrequenti suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di apoliticità: «Sono apolitico: mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco; se vuole potrei aggiungere casto…». Clamoroso fu il gesto del 1927, narrato da Corrado Alvaro, in cui Pirandello a Roma strappò la sua tessera del partito davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non si consumerà mai. Nel 1928 si concluse senza troppa fortuna l’esperienza del Teatro d’Arte cominciata quattro anni prima; dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, Pirandello si ritirò per qualche mese a Berlino insieme a Marta Abba, primadonna della compagnia. Forse a parziale compensazione di questo mancato sostegno, nel 1929 Pirandello fu uno dei primi 30 accademici, nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia d’Italia.

Nel 1935, in nome dei suoi ideali patriottici, partecipò alla raccolta dell'”oro per la patria” donando la medaglia del premio Nobel ricevuto l’anno prima, cosa fatta, tra gli altri, anche dall’antifascista Benedetto Croce, che donò la medaglia da senatore.

Questa scelta di adesione al regime è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla critica, poiché sostanzialmente l’ideologia fascista non ebbe mai parte nella vita e nell’opera pirandelliana, abbastanza avulse della realtà politica, così che egli non fu in grado di vedere e giudicare le violenze fasciste; tuttavia il contenuto idealmente anarchico, corrosivo, pessimista e quasi sempre anti-sistema delle sue opere era guardato con sospetto da molti intellettuali e uomini politici del PNF, che non lo consideravano una vera “arte fascista”. La critica fascista difatti non sempre esaltava le opere di Pirandello, spesso considerandole non conformi agli ideali fascisti: vi si vedeva una certa insistenza e considerazione di quella borghesia altolocata (che pure Pirandello non amava particolarmente) che il fascismo formalmente condannava come corrotta e decadente. Gli arzigogoli filosofici dei personaggi dei drammi borghesi pirandelliani erano considerati quanto di più lontano dall’attivismo fascista.

Anche dopo l’attribuzione del Nobel parecchi lavori furono accusati dalla stampa di regime di disfattismo tanto che anche Pirandello finì tra i “controllati speciali” dell’OVRA. Negli ultimi anni viaggerà difatti molto, andrà in Francia e negli Stati Uniti, quasi in un volontario esilio dal clima culturale italiano di quegli anni. Nonostante i suoi elogi al capo del governo, il Duce farà sequestrare l’opera La favola del figlio cambiato, per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche (a Pirandello verrà imposta, per contrasto, la regia dell’opera dannunziana La figlia di Jorio).

Le volontà testamentarie di Pirandello, infine, che negavano ogni funerale e celebrazione dopo la morte dello scrittore, metteranno in imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordinò così alla stampa che non ci fossero troppe celebrazioni postume sui quotidiani, ma che ne fosse data solo la notizia, come di un semplice fatto di cronaca.

Il rifugio di Soriano nel Cimino

Luigi Pirandello amava trascorrere ampi periodi dell’anno nella quiete di Soriano nel Cimino (VT) un’amena e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte Cimino. In particolare Pirandello rimase affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato nella località di “Pian della Britta”, a cui volle dedicare un’omonima poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in tale località.

Pirandello ambientò a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone e Rondinella e Tomassino ed il filo d’erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto vivo ancora oggi il ricordo di Pirandello a cui sono dedicati monumenti, lapidi e strade.

Luigi Pirandello frequentò anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i periodi estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell’allora bar Altieri in piazza Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che egli stesso diede ad Arsoli chiamandola “La piccola Parigi”.

Ritorna all’indice

La morte e il testamento

Appassionato di cinematografia, mentre assisteva a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, nel novembre 1936 si ammalò di polmonite. Pirandello aveva 69 anni, e aveva già subito due attacchi di cuore; il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopportò oltre. Al medico che tentava di curarlo, disse: «Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire»; dopo 15 giorni, la malattia si aggravò e il 10 dicembre 1936 Pirandello morì, lasciando incompiuto l’ultimo lavoro teatrale, I giganti della montagna, opera a sfondo mitologico. Il terzo atto venne ideato e illustrato al figlio Stefano nell’ultima notte di vita, che lo scrisse poi sotto forma narrativa, tentandone anche una ricostruzione, onde integrare la sceneggiatura del dramma che solitamente è però rappresentato nella forma incompiuta, in due atti.

Ritorna all’indice

Le ceneri di Pirandello

Per Pirandello il regime fascista avrebbe voluto esequie di Stato. Vennero invece rispettate le sue volontà espresse nel testamento: «Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi». Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, fu cremato, per evitare postume consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono deposte in una preziosa anfora greca già di sua proprietà e tumulate nel cimitero del Verano. Successivamente, nel 1947, Andrea Camilleri e altri quattro studenti dettero il via a un lento e travagliato adempimento delle sue ultime volontà (in caso non fosse stato possibile lo spargimento): far seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada “Caos”, dove era nato. Il giurista e politico Gaspare Ambrosini, dopo il rifiuto di un pilota statunitense di volare da Roma a Palermo con a bordo le ceneri di un morto, trasportò l’anfora in treno, chiusa in una cassetta di legno. A Palermo il corteo funebre venne però bloccato dal vescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo, contrario a un corteo con un defunto cremato. Camilleri si recò dal vescovo, che rimase inamovibile; il futuro scrittore propose allora con successo l’idea di inserire l’anfora in una bara, che venne appositamente affittata. Il corteo, per un breve tratto a piedi e poi a bordo di una littorina, giunse ad Agrigento. Dopo una cerimonia religiosa, l’anfora con le ceneri venne estratta dalla bara e riposta nel Museo Civico di Agrigento, in attesa della costruzione di un monumento nel giardino della villa. Solo dopo parecchi anni dalla morte, nel 1962, realizzata una scultura monolitica di Renato Marino Mazzacurati, artista vincitore del concorso indetto, costituita principalmente da una grossa pietra non lavorata, le ceneri vennero portate nel giardino e versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, che venne chiuso da una pietra sigillata con del cemento.

Una parte rimanente di ceneri, trovata anni dopo attaccata di lati interni dell’anfora, non standoci più nel cilindro ricolmo riaperto per l’occasione venne dispersa, rispettando il desiderio originario di Pirandello stesso.

Ritorna all’indice

Romanzi e Pirandello opere

Luigi Pirandello scrisse sette romanzi:

L’esclusa, pubblicato a puntate su La Tribuna nel 1901; in volume: Milano, Treves, 1908.
Il turno, Catania, Giannotta, 1902.
Il fu Mattia Pascal, Roma, Nuova antologia, 1904.
Suo marito, Firenze, Quattrini, 1911. (poi Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, 1941)
I vecchi e i giovani, 2 volumi, Milano, Treves, 1913.
Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.
Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, 1926.

Pirandello opere: oltre ai sette romanzi, Pirandello scrisse numerose altre opere teatrali e innumerevoli novelle, al link l’elenco completo delle opere di Pirandello.

Ritorna all’indice
1503, 2017

Il fu Mattia Pascal – Luigi Pirandello

by |15 Marzo, 2017|Categorie: Pirandello, Luigi, Recensioni Libri|0 Commenti

Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello - Scritto nel 1903 da Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal è un romanzo di incredibile modernità. Talvolta associato ad una lettura impegnativa, quest’opera straordinaria ha invece il pregio di possedere una scrittura fluida, appassionante e piacevolissima. Mattia Pascal, vive nell’immaginario paese ligure di Miragno, insieme alla madre e al fratello. Il padre ha lasciato loro in eredità una discreta fortuna consistente in case, terreni e vigneti. La giovane vedova, del tutto incapace di amministrare, affida l’intero patrimonio a Batta Malagna che, avendo ricevuto in passato dal marito diversi favori ed essendo ricompensato lautamente per i suoi attuali servigi, avrebbe dovuto, secondo lei, amministrare onestamente.

906, 2007

L’esclusa – Luigi Pirandello

by |9 Giugno, 2007|Categorie: Pirandello, Luigi, Recensioni Libri|0 Commenti

L'esclusa di Luigi Pirandello - Pubblicato nel 1901 sulla rivista La Tribuna, L’esclusa, in origine Marta Ajala dal nome della protagonista, è il primo romanzo di Luigi Pirandello.Il racconto è ambientato in Sicilia, dapprima nel paese natale di Marta, poi nella città di Palermo, luogo di potenziale realizzazione sociale in cui questa si trasferisce.

1004, 2007

Uno, nessuno e centomila – Luigi Pirandello

by |10 Aprile, 2007|Categorie: Pirandello, Luigi, Recensioni Libri|0 Commenti

Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello - Scritto e pubblicato nel 1926 è l’ultimo romanzo di Pirandello. Riprende temi affrontati ne Il fu Mattia Pascal e come questo è ambientato in una piccola provincia.Vitangelo Moscarda, dalla banale constatazione che il naso che egli crede di avere è diverso da quello che sua moglie gli riconosce, parte per un viaggio dentro e fuori di sé che lo conduce ad una riflessione sull’intera esistenza e alla follia.

Sommario
Luigi Pirandello
Titolo
Luigi Pirandello
Descrizione
Luigi Pirandello è stato un drammaturgo, scrittore e poeta italiano, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1934. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i maggiori drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua italiana e siciliana) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto.
Autore
Publisher Name
My Library
Publisher Logo